Il fenomeno chimico affinchè si diano arte e vita si fonda su un alterco tra elementi opposti, base tragica. La musica di Piero Piccioni è un insieme di malinconia ed eccesso dirompente di gioia, in un unicum, a non distinguere piú un sentimento dall‘altro, cosí come se questi, nello scontrarsi, risultassero immediatamente simbiotici, dando vita a un nuovo stadio intimo, inclassificabile, sospeso, fuori dalla storia, dall'io e da tutte le sue stucchevoli narrazioni. Piero era un esperto di astronomia e sapeva che due stelle possono fondersi in una nuova. Ascoltando Finchè c‘è guerra c‘è speranza, il tema principale, dove Africa e Sud America si affrescano credibilmente come fossero un‘unica, impossibile terra, sono puntualmente attraversato da una commozione particolare, non capirò mai se causata da un eccesso di gioia o di malinconia. Percezione del sublime Piccioniano. Approfondendo sul piano strutturale, e analizzando la tessitura armonica di Piero troviamo, quasi sempre, accordi risolti, dolci, seguiti da altri aspri, sospesi, a tratti in dissonanza, i quali, a loro volta, e non sempre, potrebbero sfociare in un salto tonale audace. Quest‘alternanza-scontro, che individua un equilibrio stilistico unico è l‘elemento fondante della sua poetica. Curiosamente i cosídetti "rivolti" nell‘opera Piccioniana non hanno piú un semplice valore transitorio - come da grammatica base del jazz - non solo copule, subordinate alle armonie "a registro", ma veri e propri soggetti della sintassi musicale, punti focali della prospettiva. Se, generalmente - specie nel jazz - l‘armonia segue la melodia, in Piccioni la melodia è da ritenersi una risonanza armonica. Questa sorta di rovesciamento tra soggetto e predicato è testimoniato dalle ripetute incisioni-studio private che restituiscono una precisa genesi metodica: inizia strutturando al pianoforte il tappeto armonico in cui risiede già l'ispiratissima ragion d'essere del brano, e, registrazione dopo registrazione, ne declina la melodia. Egli stesso prende a cantarla con trasporto romantico, la canta a sè stesso, come se non ci fosse null'altro che quell'universo esotico, spaziale, in cui non è ancora assopito - anzi, profondamente presente - un fondamentale, misterioso senso di onnipotenza arcaica.   
Piero è stato un grande sperimentatore capace di individuare in ogni destrutturazione un lirismo di matrice tardoromantica. Innumerevoli le opere classiche, dal respiro sinfonico, come Anna Karenina, Andreana, I Fratelli Karamazov, Cristo si è fermato a Eboli, Il Valzer de' Le Streghe (episodio diretto da Vittorio De Sica), Scacco alla Regina. 
A Piccioni, più che a chiunque altro, si deve, non solo sul piano compositivo, ma anche su quello esecutivo e acustico, il processo di "italianizzazione" del jazz. Sfido chiunque a non riconoscerne l'inconfondibile tocco sul piano o sull'organo. 
La sua proposta musicale, per quanto abbia goduto di un azzeccato utilizzo al cinema, non è da considerarsi arte "al servizio", tout court, applicata; si svincola dall'anatomia dell'immagine, anzi, è essa stessa a generala. Fu proprio Alberto Sordi a confidarmi che il punto di partenza dei suoi film da regista era la musica di Piero, senza la quale non avrebbe potuto neppure immaginarlo il film, stenderne una sceneggiatura e, via di seguito. E' sufficiente un primo ascolto di lavori come Eclypse, il Faro in capo al mondo, La Notte Brava, Camille 2000, Le Mani sulla Città, Amore mio aiutami, il Dio sotto la pelle, - troppi ce ne sarebbero - per vedere un solo film, quello di Piero Piccioni, riconoscibilissimo e inassimilabile a qualsivoglia cifra stilistica. Non è un caso se diverse opere cinematografiche assai modeste, che si avvalgono del contributo di Piero, vengano ancora ricordate. E' stata solo la musica ad averle veicolate. Ed è rimasta solo quella.  

Pianist, organist, conductor & composer
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